Centro Studi Repubblica Sociale Italiana
1919, Mussolini battezza i Fasci di combattimento
Scritto da elena   
giovedì 28 maggio 2009

Franco Tettamanti, 1919, Mussolini battezza i Fasci di combattimento, in «Corriere della Sera», 20 maggio 2009, Corriere Lombardia, p. 8.

Una domenica come tante quella del 23 marzo del 1919. Una pioggerellina fastidiosa e un’animazione inconsueta in piazza San Sepolcro. Un viavai di persone dirette a Palazzo Castagni. Un centinaio, forse più, quelle che prendono posto nel salone messo a disposizione dall’Alleanza industriale e commerciale di Milano.

L’invito all’assemblea era stato ufficializzato dal Popolo d’Italia, giornale diretto da Benito Mussolini, con un articolo che annunciava: «Sarà creato l’antipartito, sorgeranno i Fasci di combattimento». Da tutta Italia erano arrivate non più di quattrocento adesioni. Il 21 marzo era stato siglato l’atto ufficiale di costituzione. Firmato da tre ex socialisti: Mussolini, che era stato esponente dell’ala rivoluzionaria del partito che a Milano era arrivato nel 1912 ed era stato nominato direttore dell’Avanti e da Ferrari e Ferradini. Due sindacalisti: Bianchi e Giampaoli e due arditi della Prima guerra, Vecchi e Meraviglia. Semplici le parole d’ordine: «Rivoluzione e Patria».

Nel salone di Palazzo Castagni l’adunata di ex combattenti, giovani, qualche operaio e qualche imprenditore, intellettuali, curiosi, poliziotti in borghese. I delegati una cinquantina o poco più e Milano non baderà troppo a quella domenica di primavera. Nell’aria e per le strade c’è il malcontento sociale, le difficoltà della smobilitazione, le proteste e gli scioperi, la disoccupazione e l’aumento preoccupante dei prezzi. Milano vive giorni difficili.

Alla fondazione dei Fasci di combattimento il Corriere della Sera dedicherà solo una ventina di righe. La sede del nuovo movimento (sino al 1921) sarà in via Paolo Da Cannobio, in una vecchia casa di ringhiera che sarà ribattezzata «il Covo» e che negli anni del regime sarà meta di quotidiani pellegrinaggi.

Ultimo aggiornamento ( domenica 07 giugno 2009 )
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«L’omicidio di Gentile? Fu un atto di guerra». Una sentenza riapre il caso.
Scritto da Redazione   
giovedì 28 maggio 2009

Messina Dino, «L’omicidio di Gentile? Fu un atto di guerra». Una sentenza riapre il caso. E gli storici tornano a dividersi, in «Corriere della Sera», 10 maggio 2009, p. 35.

 

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L’attentato a Giovanni Gentile fu «un atto di guerra» e quindi è diffamatorio definire come «assassino vigliacco» Bruno Fanciullacci, il gappista che sparò al filosofo il 15 aprile 1944. Così la Corte d’appello di Firenze l’altro ieri ha ribaltato la sentenza di primo grado nella quale il senatore del Pdl Achille Totaro e il consigliere comunale Stefano Alessandri erano stati assolti dall’accusa di diffamazione. Ora dovranno risarcire la famiglia con la somma simbolica di un euro.

I fatti, come li ha riferiti un’attenta cronaca del «Corriere fiorentino», risalgono al gennaio 2000, quando Totaro, all’epoca consigliere comunale di Alleanza nazionale, durante un’accesa discussione a Palazzo Vecchio sull’organizzazione di un convegno dedicato al filosofo, si scagliò contro la figura di quel partigiano, leader del commando gappista, che si gettò da una finestra di Villa Triste dopo essere stato catturato e torturato dai fascisti. Fanciullacci venne onorato con una medaglia d’oro alla memoria. Memoria che sua sorella Giuseppina ha voluto difendere con un’azione legale.

Questa vicenda giudiziaria, all’apparenza marginale, e la bagarre che si è svolta in tribunale dove l’esponente del Pdl è stato insultato da avversari di Rifondazione comunista, riaprono una ferita nella memoria nazionale e locale. Non a caso il capogruppo dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri ha citato Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa e annunciato un’inchiesta per individuare le responsabilità di chi non è stato in grado di garantire il sereno svolgimento del processo, i difensori di Totaro hanno detto che presenteranno ricorso in Cassazione e l’Anpi ha invece affermato che «la sentenza ha reso giustizia alla figura e alla memoria dell’eroe Bruno Fanciullacci».

Ultimo aggiornamento ( sabato 06 giugno 2009 )
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Se la memoria storica diventa caricatura
Scritto da Redazione   
giovedì 28 maggio 2009

Battista Pierluigi, Se la memoria storica diventa caricatura, in «Corriere della Sera», 20 aprile 2009, p. 26. 

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Ancora. Nel 2009 uno studioso, Domenico Losurdo, scrive al manifesto per affermare che Stalin, certo, si macchiò di qualche colpa, ma insomma non è che dobbiamo trascurare i sempiterni crimini americani. Ancora. Il quotidiano Liberazione, suscitando il comprensibile orrore di Rina Gagliardi, spende parole «giustificazioniste» sulla tirannia stalinista e trasforma il giornale in una parodia degli anni Cinquanta. Ancora. Ai funerali romani di Giano Accame, un intellettuale raffinato e coraggioso che ha speso la sua vita per smantellare gli steccati ideologici del Novecento senza rinnegare nulla di se stesso, qualcuno si è premurato di omaggiare la salma con il saluto romano e con le parole d’ordine della liturgia fascista e neofascista. Ancora.

Ancora. La memoria storica si macchiettizza, si consuma tra nostalgie e rimpianti, mette in scena, deformandoli nella caricatura, gli stereotipi del passato. A Hollywood non si spreca niente, e viene riciclata l’immagine immacolata del «Che» ridotto a santino rivoluzionario. Nelle periferie della politica italiana ci si accapiglia senza requie sulla toponomastica ideologica: discussioni su «via Almirante» invece della manutenzione delle strade, dibattiti su «piazza Togliatti» anziché semplificare la vita di chi si sobbarca la fatica della raccolta differenziata. Ancora. Come ogni anno, come gli ultimi del secolo scorso e i primi di quello nuovo, il centro della polemica politica si sposta sul dilemma inestinguibile: partecipare o meno alle celebrazioni del 25 aprile sfidando i rituali fischi e le abitudinarie contestazioni? Ancora.

Ultimo aggiornamento ( sabato 06 giugno 2009 )
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